Il mio viaggio in Nepal


21/02/2018

Descrizione

Sabato 25 aprile 2015 un fortissimo terremoto ha colpito il Nepal causando più di duemila morti e la distruzione di centinaia di edifici. Dopo la prima scossa, di magnitudo 7.8, ne sono state registrate almeno altre tredici, tra cui diverse con magnitudo superiore a 6.
Dopo due anni dal sisma decidiamo di fare un viaggio nel Nepal, paese da visitare che era nei nostri sogni da molto tempo.
Durante il volo continuo a guardare fuori dal finestrino, in attesa dei primi segni del Nepal. Poi arriva il verde, arriva il Nepal.
Sotto di noi arrivano le montagne, sempre più alte, sempre più vicine. Superiamo i monti e sotto di noi si apre la Valle di Kathmandu, luminosa, racchiusa tra due catene montuose.
E l’aereo piano piano scende, le casine si avvicinano, il verde si fa alberi, campi, cespugli.
Siamo arrivati a Kathmandu.

All’aeroporto ci accoglie la nostra guida nepalese, Raj. (Per ricordare il suo nome ci dice di pensare “ai raggi del sole o ai raggi della bicicletta”). L’accoglienza è veramente cordiale. Namasté. Con le mani congiunte, un accenno di inchino e un sorriso gigantesco che illumina gli occhi ci mette al collo una collana di fiori arancione. In Nepal l’amore e il rispetto per il prossimo sono due pilastri fondamentali su cui si basano tutte le relazioni umane, anche quelle tra sconosciuti. Ognuno ha un po’ di divino dentro di sé, un po’ di buono, e con un namasté ci si dice “so che c’è della luce dentro di te, io la vedo, tu non lo dimenticare”. Subito partiamo con il pullman per vedere lo stupa di Swayambhunath.
La stupa risale al V secolo d.C., nel 1346 invasori moghul, su incarico di un sultano del Bengala, saccheggiarono e distrussero il tempio che solo dopo secoli venne ricostruito. L’ultima restaurazione completa venne fatta nel 2010 (la 15° ristrutturazione da quando esiste il sito): la cupola venne nuovamente dorata con 20 Kg d’oro. La stupa con il terremoto del 25 aprile 2015 ha subito danni lievi a differenza di alcuni piccoli templi attorno. Per accedere alla terrazza si possono salire 365 gradini oppure percorrere una strada in auto e salire gli ultimi circa 50 scalini. Cosa che facciamo anche noi. Il tempio è anche conosciuto come il tempio delle scimmie… ce ne sono molte in giro e soprattutto sulla scalinata. Lungo la scalinata oltre alle scimmie ed a molti fedeli incontriamo sculture di pietra raffiguranti coppie di animali: i mezzi di trasporto degli dei. Alla fine della salita della scala c’è un enorme “vajra” Nella mitologia induista il vajra, che rappresenta il fenomeno naturale del fulmine, viene impugnato come arma da Indra, Re degli dei, in modo del tutto simile a Zeus, il Padre degli dei nella mitologia greca. Il vajra rappresenta l’indistruttibilità, e in quanto l’arma più potente, ha la qualità di non poter essere usato in modo inappropriato e ha la proprietà di tornare sempre a chi lo impugna.

Ci sono un sacco di bandierine di preghiera buddiste, giallo, verde, rosso, bianco, blu che sono i cinque colori che rappresentano i cinque elementi fondamentali. Terra, aria, fuoco, acqua, cielo.
Su ogni bandierina sono scritti dei mantra buddisti, delle benedizioni. Vengono appese nei luoghi più alti così che il vento possa raccogliere le preghiere scritte sulle bandierine e trasportarle verso il cielo per essere ascoltate e diffuse.
In Nepal sono dappertutto.

Il nostro viaggio prosegue il giorno dopo con la visita della città. Le strade sono piene di buche e dossi, però arriviamo lentamente davanti allo Stupa di Boudhanath. Questo stupa è il più grande del Nepal e impone rispetto.  Le bandiere di preghiera che svolazzano al vento ti sono sempre vicine, sono come schizzi di colore che contrastano con il candore dello stupa. Dalla base, che rappresenta la terra, lo sguardo viene attirato verso i 13 piani che rappresentano le tappe da superare per raggiungere il nirvana.
Sulla base si può osservare la cupola che simboleggia l’acqua, poi c’è la freccia, che si staglia verso il cielo, splendente, a rappresentazione del fuoco. L’ombrello copre la freccia e simboleggia l’aria, mentre il pinnacolo, culmine dello stupa, rappresenta la sfera celeste. Il complesso è stranamente armonioso e davvero ammaliante.
Proseguiamo per andare al tempio di Pashupatinath, il più antico tempio induista di Kathmandu, è famoso per le cerimonie di cremazione che vi avvengono giornalmente.
Lungo il fiume sacro Bagmati c’è una barella in legno coperta da un velo giallo. Dopo le abluzioni rituali il corpo viene spostato sul ghat. Quindi  il cadavere viene sollevato dall’altare e trasportato a braccia verso la pira, che, nel frattempo, è stata allestita dagli operatori del tempio.Mi sento a disagio a guardare, anche se mi trovo sull’altra sponda del fiume. Secondo me la perdita di una persona cara è un momento molto intimo e quindi mi allontano lentamente. Ci spostiamo a Bhaktapur. L’ultima vecchia capitale di uno dei tre antichi regni della valle di Kathmandu. Il centro storico, che si sviluppa attorno alla piazza più bella della città, Durbar Square, è oggi un sito archeologico a cielo aperto, luogo patrimonio dell’UNESCO.
Le vie e le piazze brulicano di gente, i bambini corrono vocianti e in ogni dove vi sono mercanti intenti a scambiare merci, alimenti o regali.
Percorriamo Durbar Square, dove si trova il palazzo delle 55 finestre. Dalla  parte opposta della piazza si trova la Pagoda di Nyatapola, la più famosa, sulle cui gradinate i fedeli stanno in fila, risalendo lentamente verso l’altare sulla cima. Grandi statue affiancano la scalinata: personaggi, leoni, elefanti imponenti che osservano la piazza, dando il benvenuto ai visitatori.
Prima di continuare il nostro viaggio verso Patan, visitiamo Dakshinkali (circa 45 km dalla capitale) dove si venera la più feroce e sanguinaria forma che può assumere Parvati: Kalì, la dea che esige sacrifici di sangue da parte dei fedeli.
Il tempio è piccolo ma molto importante e frequentato da fedeli; si trova in una rientranza naturale, in un punto dove confluiscono due corsi d’acqua. Si raggiunge scendendo una lunga scalinata dove si trovano anche venditori di fiori e ghirlande da portare alla Dea. Non solo questi doni sono offerti alla Dea: vengono spesso sacrificati animali (per lo più capre e galli) ed è considerato il tempio in Nepal dove vengono omaggiati più animali.
Quando si parla di Nepal la prima cosa che ti viene in mente è l’Himalaya. Nel nostro viaggio non era previsto alcun trekking, ma non potevano lasciare questo paese senza avere visto il famoso “Tetto del mondo”, almeno da lontano. L’occasione ci viene offerta dalla nostra guida che propone un volo al mattino dopo per poter ammirare quelle montagne. Quasi tutto il nostro gruppo ne approfitta e ne rimane molto contento. E poi si riparte.
Verso mezzogiorno, dopo aver percorso chilometri nella valle di Kathmandu arriviamo a PATAN. E’ situata su un altopiano che sovrasta il fiume Bagmati. E’ chiamata anche Lalitpur, ossia “la città della bellezza”. Essenzialmente buddista, fu edificata in gran parte dai re Malla che regnarono dal 1380 al 1760. Patan è considerata la culla delle arti e dell’architettura nella Valle di Kathmandu, un vero e proprio museo all’aperto con più di 136 monasteri, 55 grandi templi, dimore e palazzi di un’eleganza straordinaria.
Giungiamo quindi al Tempio d’Oro con le lastre scintillanti (che ricoprono il tetto e gran parte della facciate) e le sue incredibili decorazioni e statue che ornano tutto il cortile. Purtroppo in Nepal, Paese poverissimo, il lavoro infantile è considerato tradizione. Come il culto del «sacerdote bambino», che a otto anni è il capo del Tempio d’Oro, e non può cambiare mai i vestiti né usare il sapone o vedere i suoi genitori (fortunatamente è in carica per poco più di un mese, poi può tornare a casa). Abbiamo anche occasione di assistere all’uscita, dal suo palazzo, della Kumari, la dea bambina, ma ci vuole tempo, così la nostra guida Raj prende una bandiera del Nepal e ci spiega il significato. La forma bizzarra del vessillo del piccolo stato himalayano – un poligono composto da due triangoli uno sopra all’altro – simboleggia proprio le punte delle montagne di cui il suo territorio è costellato. Il rosso scuro è il colore del rododendro, il fiore nazionale del Paese, mentre il bordo blu riconduce ad un messaggio di pace. I due simboli reali vengono attualmente indicati come a rappresentare la speranza che il Nepal duri quanto il Sole e raggiunga la purezza del fiore di Loto.Ed è arrivato il momento di vedere l’uscita dal palazzo delle dea bambina. Esce da quelle stanze segrete dopo quasi un’ora di attesa. Riusciamo ad intravvederla per poco perché la folla è tanta. Una dea bambina imprigionata dalla storia e dalla tradizione e quando esce per le processioni, non può nemmeno camminare, perché la regola prevede che la Kumari non tocchi terra impura.
Yunika Bajracharya, l’attuale Kumari, dea bambina dal 2014. Ha solo 7 anni.
La Kumari viene scelta tra le bambine delle caste buddiste delle famiglie newar, gli Sakya residenti a Kathmandu, la stessa cui apparteneva il Buddha, in qualunque momento dallo svezzamento alla pubertà. In Nepal. Kumari ha letteralmente il significato di vergine, ad indicare la purezza della Dea. È l’incarnazione della Dea Taleju Bhawani, meglio conosciuta come Durga, in India. La bambina deve rispondere a caratteristiche molto precise, è necessario che abbia le “32 perfezioni”. Si richiede che non ci siano difetti fisici, che sia bella, che non abbia subito perdite di sangue, e non abbia ferite o cicatrici. Ma le prove più importanti sono di tipo caratteriale, infatti la Kumari non può piangere, mostrarsi disinteressata o irrequieta, tantomeno deve muoversi durante i riti. Alla prima perdita di sangue o malattia la vita della Kumari cambia all’improvviso. In una cerimonia di spoliazione, che durerà 4 giorni, la Kumari verrà privata dei suoi simboli potendo tornare così dalla sua famiglia. Tutte le ex Kumari in Nepal percepiscono un vitalizio di circa 6000 rupie – 85 euro – che, anche se sembra una miseria, corrispondono ad almeno tre volte uno stipendio medio nazionale. Secondo la tradizione popolare l’ex Kumari è destinata a non trovare marito: se un uomo cercasse di sposarla sarebbe destinato a morire entro sei mesi. In realtà oggi questa credenza è stata superata e le Kumari in molti casi si sposano senza problemi.
Il 7 aprile ci si rimette in viaggio per Pokhara. Lasciando la Valle di Kathmandu verso le montagne ci si avvia verso uno dei più famosi paradisi per gli escursionisti amanti del trekking. La catena montuosa Himalayana annovera tra i suoi picchi numerose cime tra le più alte al mondo, tra cui l’Annapurna. Proprio ai piedi dei monti sorge però la seconda città del Nepal per grandezza Pokhara. Il territorio è rigoglioso e verdeggiante, ricco di alture, vallate e di laghi (anche di grandi dimensioni) che si sviluppano lungo i fondovalle. Proprio questi laghi hanno conferito a Pokhara l’amichevole nome di “Città dei 7 laghi”. Arriviamo verso le 17 quindi quasi al tramonto e ne approfittiamo per fare un giro in barca sul lago Phewa che è il vero tesoro di Pokhara; situato ai margini della città, il lago è il più grande del Nepal dopo il Lago Rara. Quando il tempo è bello e le nuvole non nascondono la vista, le montagne innevate di Annapurna, Machapuchare, Hiunchuli e altre si specchiano nell’acqua, svelando un panorama straordinario, cosa che purtroppo non possiamo vedere perché il tempo è piuttosto nuvoloso. Mi consolo nel godermi i colori che ci offre il tramonto.
Il mattino successivo ci offre una bellissima sorpresa. Il cielo è sereno e aprendo la porta della stanza mi appare davanti la maestosità delle montagne. Ne vedo solo una parte, ma mi fa restare senza fiato. Siamo in molti a fotografare questa bellezza della natura. Anche questa è fatta!
E poi sazi di questo bellissimo panorama partiamo per raggiungere il Parco nazionale di Chitwan, che copre un’area di 932 km², è il più antico del Nepal. Fu creato nel 1973, e divenne patrimonio dell’umanità nel 1984. Si trova nel Nepal centro-meridionale, ed esattamente nel distretto di Chitwan, a 200 km dalla capitale Kathmandu. Il parco è ricco di flora e fauna, tra cui una delle ultime popolazioni di rinoceronte indiano a corno unico e di tigre del Bengala. Venne in passato usata per la caccia grossa, e fino al 1951 rimase riserva di caccia reale. La vegetazione è composta da foreste decidue, soprattutto di sal.
Al mattino facciamo una passeggiata nel Parco a dorso di elefante. Cavalcare un simile animale non è confortevole e in una portantina di legno siamo stipati in quattro. Ondeggiamo nell’alta vegetazione avanzando pesantemente sul terreno. A poca distanza, in una radura, si muove lentamente un gruppo di cervi. In un’altra spianata nei pressi di un laghetto fanno bella mostra due rinoceronti, un cinghiale e un altro gruppo di cervi.  Nel pomeriggio facciamo un giro con le canoe lungo il fiume. E’ uno spettacolo magnifico. Il silenzio che ci avvolge rotto solo dal rumore dei remi è per me una sensazione indefinibile. Quel silenzio che non ci sarà più il giorno dopo quando affrontiamo col pullman la strada che ci porterà di nuovo a Kathmandu. Una strada dissestata, polverosa e molto trafficata.
L’11 aprile si conclude il nostro viaggio, ritorniamo a casa. Durante il volo chiudo gli occhi e ripercorro col pensiero tutto ciò che ho visto. Le immagini mi scorrono davanti una per una e ripenso con piacere a questa esperienza. Vedo colori, bandierine, risaie, montagne, templi, persone ma soprattutto vedo i bambini: sorridono sempre, ti salutano dalla strada con gioia. Però vedo anche quel bambino custode del Tempio d’oro di Patan e alla dea bambina: sono visini tristi e direi, quasi rassegnati. Ma anche questo è Nepal con la sua cultura e la sua religione.

Ferrari Tiziana

 

 

 

 

 

 

 

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